Eldorado
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la famiglia di Markus Imhoof ospita Giovanna, una bambina italiana rifugiata in Svizzera. Da qui comincia un viaggio tra i ricordi d’infanzia, quando gli immigrati non voluti erano gli Italiani e l’oggi. Tra le coste libiche, quelle del sud Italia e tutto il mare che c’è in mezzo, i nuovi esclusi provano a entrare nel “nostro Eldorado”.
Sinossi
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la famiglia del regista svizzero Markus Imhoof accoglie Giovanna, una bimba milanese di 8 anni, beneficiaria di un progetto delle Croce Rossa Svizzera rivolto ai bambini vittime di guerra. La sua permanenza in Svizzera ha però un tempo limite e Giovanna viene rimandata in Italia, dove muore di stenti a soli 13 anni, poco dopo il suo rientro forzato.
Imhoof parte da questi dolorosi ricordi d’infanzia, per parlare dell’odierna crisi migratoria, il più grande esodo dalla seconda guerra mondiale ad oggi.
Attraverso le navi italiane dell’operazione Mare Nostrum, i campi dei lavoratori, le strutture d’accoglienza del sud Italia e la Svizzera odierna, emerge la fotografia di un processo tanto assurdo quanto inumano, che non riesce ad affrontare una tragedia più che umana: la crisi causata dagli squilibri economici e sociali che trasformano i paesi ricchi del Nord nell’Eldorado che i meno fortunati cercano di raggiungere a tutti i costi.
Note di Regia
I paesi stranieri hanno sempre avuto un ruolo significativo nella mia famiglia: mio padre ha scritto la sua tesi di dottorato sui migranti europei, mia madre è nata in India, una delle mia zie viene da Odessa, l’altra ha vissuto in Egitto, mio zio ha vissuto in Colombia, un altro negli Stati Uniti. Durante la mia infanzia, sopra il mio letto era stata appesa una mappa dell’Africa con una vera lancia che puntava dritto al “cuore oscuro”.
Nel 1945 Giovanna arrivò dall’Italia in una Svizzera risparmiata dalla guerra. Fu all’incirca in quel periodo che scoprii che tutti usavano il termine “io” per parlare di sé stessi. Mi sono innamorato di questo “io” straniero che ha plasmato la mia vita in maniera decisiva.
Durante quel periodo la Svizzera cominciò ad utilizzare l’espressione “i rifugiati per ragioni puramente razziali non contano come rifugiati”, perché molti facevano parte di questa categoria. 24000 persone furono rimandate indietro con questa ragione.
Nel 1980 ho girato il film “La barca è piena”, trattando questi eventi: la storia di un gruppo di rifugiati rimandati indietro e destinati a una morte certa. Per il ruolo della ragazza rifugiata, Kitty, ho cercato una giovane che assomigliasse a Giovanna.
Come risultato diretto della Seconda Guerra Mondiale, la discriminazione razziale oggi è riconosciuta come motivo di asilo nella Convenzione di Ginevra. Uno dei principi cardine delle politiche odierne è “i rifugiati per motivi economici non contano come rifugiati”. Moltissimi ricadono in questa categoria e la barca è di nuovo piena. Trentacinque anni fa non avrei mai pensato che il titolo del mio film sarebbe diventato così concreto e attuale da costringermi a girare un altro film sull’argomento.
Ho dunque cominciato a lavorare su due progetti: uno sulla migrazione e uno sulla crisi economica.
Facendo delle ricerche ho scoperto quanto fossero strettamente collegati tra loro: la tematica dell’immigrazione non può essere indipendente dalla questione economica. Ognuno di noi porta un pezzo di Congo nelle proprie tasche, l’80% di coltan e cobalto viene dalle loro miniere, ma i profitti commerciali di queste materie prime rimangono in Svizzera. L’accordo europeo per il commercio con l’Africa per l’importazione esentasse dei nostri prodotti agricoli falsa tutto: i contadini africani non possono competere con noi.
La globalizzazione ha esportato il proletariato ed è diventata una colonizzazione economica: soldi, persone ricche e beni viaggiano globalmente; i poveri invece devono rimanere al loro posto. Le aree di alta e bassa pressione economica distribuite in tutto il mondo sono le precondizioni per la produzione economica del flusso di merci.
Abbiamo bisogno della parte più povera del mondo per il nostro dinamismo economico.
Le persone che richiedono asilo sono il risultato di questa dinamica. La nostra fortuna li attrae. Ma disturbano l’incremento del benessere e la crescita economica. Per questo motivo nascono le leggi contro l’immigrazione in Europa. A partire dal 2000 più di 30.000 persone sono annegate durante la loro fuga: un mare di cadaveri. Le vite umane sono un danno collaterale per il benessere e il perseguimento della nostra felicità. La crisi non è finita, è appena iniziata. Presto arriveranno anche i migranti legati alla questione dei cambiamenti climatici. Il ricordo di Giovanna mi dà il radicalismo del punto di vista di un bambino, in contrasto con i meccanismi internazionali che gestiscono gli stranieri.
Non era mai stato così difficile ottenere i permessi per girare un film. C’è sempre qualcosa dietro quando ci si applica con zelo a “nascondere”. La nostra sfida è stata quella di rendere visibile l’invisibile. Le cose fondamentali sono spesso tradite da un dettaglio, uno sguardo, una risata. La somma delle cose irrilevanti a volte mostra l’essenziale.
La storia centrale che sta dietro a questo film è quella dell’eterno conflitto tra la parola “io” e la parola“noi”, del contrasto o dell’interazione tra molte cose differenti e una sola. Come quando ascolti un’orchestra e non è mai solo la tromba a dominare su tutto, ma riesci a sentire anche gli altri strumenti, come la viola o il flauto. Si tratta di sperare in un equilibrio, che il Nord e il Sud del Mondo riescano a convivere come un organismo che non si sfrutta costantemente, in grado quindi di non distruggere sé stesso.
Tutti parlano di sé stessi usando la parola “io”. Questo può portare ad una guerra o all’inizio di una storia d’amore.
All’entrata di un laboratorio di sartoria gestito da donne rifugiate sono state appese citazioni tratte da “Alice nel paese delle meraviglie”: “È inutile che ci provi”, disse Alice; “non si può credere a una cosa impossibile”. “Oserei dire che non ti sei allenata molto”, rispose la Regina. “Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz’ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione.”
Markus Imhoof, Gennaio 2018
Markus Imhoof
regista, sceneggiatore e produttore
Markus Imhoof è nato a Winterthur nel 1941. Ha completato studi di germanistica, storia dell’arte e storia a Zurigo e si è laureato con una tesi su “Le opere teatrali di Brecht in relazione ai suoi lavori teorici”.
Dopo essere stato assistente di Leopold Lindtberg alla Zürcher Schauspielhaus si è iscritto alla Scuola di cinema di Zurigo.
I suoi film “FLUCHTGEFAHR” (1974) e “TAUWETTER” (1977) fanno parte dei lavori che hanno assicurato il riconoscimento internazionale alla cinematografia svizzera negli anni ’70. La “Barca è piena” del 1980 ha vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale ed è stato candidato all’Oscar® come miglior film in una lingua straniera. The Journey (Die Reise) del 1986 è basato sul romanzo postumo di Bernward Vesper incentrato sui primi giorni del gruppo terroristico tedesco Red Army Faction (RAF).
I film di Markus Imhoof sono stati proiettati a Berlino, Venezia, Cannes, Locarno e in molti altri festival internazionali. Il suo film più recente “Un mondo il pericolo” è stato premiato sia con gli Swiss che con i German Film Awards, ed è stato il film svizzero di maggior successo a livello internazionale di tutti i tempi.
Markus Imhoof è stato docente in visita presso la “Deutschen Film und Fernsehakademie” di Berlino e alla “Hochschule für Gestaltung und Kunst” di Zurigo. È un membro dell’”Akademie der Künste” di Berlino, dell’ “European and German Film Academies” e dell’”Academy of Motion Picture Arts and Sciences” (AMPAS) di Los Angeles.
Oltre che per il suo lavoro cinematografico, Imhoof è noto per le sue rappresentazioni di opere e spettacoli teatrali in Germania, Austria, Italia e Svizzera.
La storia di Giovanna
Nel 1945, Giovanna Viganò, bambina milanese di 8 anni, arrivò in Svizzera con un programma d’aiuti. La accolse la famiglia di Imhoof.
Giovanna era una bambina malnutrita, con un padre disperso in Russia, molto probabilmente morto, e una madre troppo malata per prendersene cura.
Nel 1946 Giovanna dovette ritornare a Milano, gli Imhoof avrebbero voluto tenerla più a lungo ma La Croce Rossa temeva che il legame con la famiglia affidataria potesse diventare troppo forte.
Quando Giovanna rientrò in Italia, la madre era ancora ammalata e viveva in condizioni di estrema povertà: in casa loro non c’era abbastanza cibo, le finestre erano rotte a causa di un bombardamento aereo ed erano state chiuse provvisoriamente con della carta oleata. Non avevano niente, e la casa era fredda perché non c’erano soldi per comprare il combustibile per il riscaldamento. La madre di Giovanna saldava nella sua cucina adibita a piccola bottega. Successivamente iniziò a lavorare in una fabbrica di sigarette. Giovanna era spesso malata, soffriva di febbri reumatiche ed era malnutrita.
Nel 1949 la famiglia Imhoof provò a riportare in Svizzera Giovanna, ormai tredicenne, privatamente. Ma per un bambino straniero entrare in Svizzera non era semplice.
In Svizzera entravano i lavoratori stagionali stranieri, che stipati in villaggi di baracche, venivano impiegati per lo più nell’edilizia e dovevano tornare nei loro paesi d’origine per 3 mesi ogni anno. Non avevano diritto a portare i bambini. L’intenzione era esattamente la stessa di oggi, cioè prevenire la “migrazione a catena”, i ricongiungimenti famigliari. In questo contesto più di mezzo milione di italiani fu vittima di discriminazioni razziali.
Il padre di Markus dovette garantire per tutti di riuscire a sostenere i costi e assicurare che Giovanna sarebbe ritornata in Italia. Alla fine Giovanna fu autorizzata ad entrare in Svizzera, ma già nel 1950 dovette rientrare a Milano, dove presto si ammalò nuovamente. Giovanna morì nello stesso anno (Markus aveva 9 anni). I genitori di Markus si sentirono colpevoli per la sua morte fino alla fine dei loro giorni.
Nel 1978 Markus viveva a Milano con una donna italiana. La madre di Giovanna spesso si occupava dei loro figli. In quel contesto Markus scrisse la sceneggiatura di “La barca è piena” sulla deportazione dei rifugiati ebrei, dalla sicura Svizzera al Reich tedesco. Il film ha tratto una profonda ispirazione dalla vicenda di Giovanna.
Nel 1981 venne proiettato alla Berlinale e premiato con l’ Orso d’argento. Un anno dopo fu nominato all’Oscar ®.
Paese: Svizzera, Germania
Scheda Tecnica
Svizzera, Germania 2018
Durata: 92 minuti
Regista e sceneggiatore: Markus Imhoof
Direttore della fotografia: Peter Indergand (scs)
Assistenti alla regia e ricercatori: Marion Glaser, Antonella Falconio, Giorgia De Coppi, Franziska Arnold
Montatrice: Beatrice Babin (BFS)
Musiche: Peter Scherer
Narratori: Caterina Genta, Robert Hunger-Bühler
Sound design: Sebastian Tesch
Mix del suono: Ansgar Frerich
Titoli e animazioni: Jutojo, Johannes Braun e Toby Cornish
Direttore di Produzione: Tassilo Aschaue
Produttori: Thomas Kufus, Pierre-Alain Meier, Markus Imhoof
Prodotto da Zero One film, Thelma Film, Ormenis Film
In co – produzione con Schweizer Radio und Fernsehen, SRF, SRG SSR e Bayerischer Rundfunk
Supportato da
Die Beauftragte der Bundesregierung für Kultur und Medien (BKM), Filmförderungsanstalt (FFA), FilmFernsehFond Bayern (FFF), Bundesamt für Kultur (EDI), Schweiz Zürcher Filmstiftung, Cinéforom and Loterie Romande, Kulturfonds Suissimage Marlies Kornfeld, Volkart Stiftung, Ernst Goehner Stiftung Werner Merzbacher, UBS Kulturstiftung, SRG Succès Passage Antenne, BAK Succès Cinéma
Distribuito da: Zalabfilm